L’uomo non sia mai sacrificato all’atleta. Con queste parole, di Papa Giovanni Paolo II, si concludeva la tesi di laurea di Luca Giustolisi, bronzo olimpico ’96 col Settebello e oggi psicologo. “E’ innegabile che la nostra società idolatri lo sportivo: pubblico, media, sponsor, politica… da tutti l’atleta è visto come un eroe – dichiara a Swimbiz.it - certi sportivi incorrono in problemi psicologici non per le pressioni sostenute inseguendo i loro obiettivi o per la delusione nel mancarli. Cadono in depressione dopo aver vinto l’oro olimpico, perché scoprono che dietro a quella medaglia non c’è tutto questo ‘tesoro’, questa felicità dipinta da fuori”. Lui ne sa qualcosa: Jesus Rollan, suo compagno di squadra al Recco si suicidò dieci anni dopo l’oro olimpico. In Australia quello dei disagi psicologici legati allo sport è diventato un caso dibattuto da media e istituzioni sportive(leggi qui) “La verità è che anche in Italia il problema viene sottovalutato. E il motivo sta in una sopravvalutazione dello sport come percorso di vita positivo di per sé”. Naturalmente, Giustolisi non vuol dire che lo sport faccia male “Anzi, è un serbatoio di valori e strumento sociale per togliere i ragazzi dalle strade. Ma, come ogni transizione della vita, comporta a sua volta dei rischi – rischi che possono essere tempestivamente scongiurati – con un’attività di monitoraggio e prevenzione, come per gli infortuni: non esistono cose totalmente buone o cattive, ma esista una maniera giusta o sbagliata di farle”. E fingere che il problema in Italia non esista, è la maniera sbagliata di affrontarlo “Non vorrei che vi si dia volontariamente poca attenzione per paura di dare immagini negativi o rompere la ‘magia’ dell’atleta invincibile. Lo sport italiano dimostrerebbe, invece, grande maturità facendo anzitutto un censimento di casi simili. Il Coni stesso dovrebbe farsi carico di un lavoro di prevenzione, perché la salute degli atleti è uno dei suoi capisaldi”.
moscarella@swimbiz.it
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