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Pressioni, social network, geografia sportiva. I punti principali toccati in una chiacchierata a tutto tondo sul mondo del nuoto, e dello sport in generale, con Sergio Crescenzi, medico sociale dell’Aurelia. “Si parla molto di pressioni sugli atleti, ma dove starebbero? A meno di problemi con la famiglia, questi ragazzi fanno le loro due ore d’allenamento al giorno, ma poi ne hanno ventidue per fare quello che fanno tutte le persone della loro età. Al massimo può provare stress chi vince, perché obbligato a riconfermarsi”. Il problema vero, dunque, starebbe altrove “Quello che non concepisco è che a casa, in albergo, persino a tavola, non fanno altro che giocherellare con i loro cellulari. Persino gli allenatori che, da adulti, dovrebbero dare l’esempio". Ancora peggio durante le trasferte "Una volta, sui pulmini, le squadre cantavano e scherzavano insieme, ora ognuno se ne sta in silenzio con le cuffie nell’orecchio, oppure a farsi foto. Come possono avere una valvola di sfogo, se non si relazionano?”. Crescenzi fa poi notare che “A memoria, e parlo degli ultimi anni, non ricordo sportivi di alto livello ‘metropolitani’. Vengono tutti da zone periferiche, perché non hanno tutti questi assurdi input esterni e possiedono, in genere, un rapporto più forte con la famiglia e gli amici. Inoltre sono abituati al duro lavoro, non alle distrazioni”.
 
moscarella@swimbiz.it  

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