Aò Piccolo, daje su quel trampolino. Daje Piccolo. E così continuano a chiamare ancora, tra un volo e l’altro, il ventenne Andrea Chiarabini. Roma è così. Quando sei, rimani per sempre, se pensi che il mito di Totti è sempre quel Pupone affettuoso anche nei giorni più difficili, vicino ai quaranta e fuori pure dalla panchina. Chiarabini, il principino dei tuffi, era un baby desiderio quando si lanciava da dieci metri, sette anni fa, quattordici anni di talento tascabile di un metro e mezzo per una linea di cinquanta chili. Nemmeno una modella in passerella, figuriamoci su una torre in verticale che ti permette in un attimo di assomigliare a un angelo, e dopo un battito di ciglio ti risucchia in una vasca profonda. Desiderio Chiarabini, piccolo e star ancor prima di'niziare, e quella profondità lo risucchiò ancor prima di trovare il tuffo perfetto. E a Roma? Già pensavano ai fasti del tuffatore in miniatura, modello del campionissimo britannico Tom Daley, un romano che togliesse il fiato dopo l’epopea bionda di Klaus Dibiasi, una hall of fame forse irraggiungibile lassù, quando ti appare la profondità della vita. La luce, come si era accesa, divenne più fioca. Andrea si trovò a fare i conti con la durezza della vasca, quando l’acqua si fa muro e la prendi anche a dolorose schienate arrivando dai lassù dieci metri. Una botta, un colpo, la paura di stare verticale per un attimo e scendere alla velocità delle aspettative che un baby prodigio non riesce sempre a gestire, e la piattaforma è diventata un limite, un punto interrogativo, ma anche la chiave per svoltare. Sette anni dopo, il purosangue si è risvegliato non più baby ma millenium, generazione vent’anni. Una spruzzatina di baffetto, un’accennata barbetta, e la classe si è risvegliata più controllata in un-due-tre nel genio del movimento. Tre metri, questa è la nuova linea di aspettativa del nuovo angelo Chiarabini. Che a Rio pre Rio, sognando Rio e magari chissà cosa, mette in scena la nuova avventura fatta di un trampolino che sostituisce la piattaforma nel solito pieno di classe. Con la regia di un allenatore come Fabrizio De Angelis che lo ha ripreso, strigliato, riallineato lì dove si era interrotto e che di uno spartito che sembrava concluso ha trovato la chiave per suonare una nuova sinfonia. Daje Piccolo, il tuffo riparte da dove si era interrotto, da qui ai tre metri sopra il cielo. In una piccola magia da Principe dei tuffi. Nel millenium dei tuffi azzurri che hanno bisogno di futuro, attenzione all’ex baby Chiarabini.
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