E’ la qualità natatoria che gli viene attribuita più spesso. L’agonismo, la voglia di mettere sempre la mano davanti, di non cedere nei testa a testa. Qualità che Filippo Magnini, capitano dell’Italnuoto, mantiene immutata a 34 anni. Anche il canadese Brent Hayden in vasca non amava mollare. Neanche quando, due settimane prima delle Olimpiadi di Londra 2012, gli sfuggì un grido di dolore nell’hotel di un training camp. Dolori lancinanti alla schiena, era il suo corpo che lo implorava di ritirarsi. S’impose di non cedere, ha raccontato una settimana fa al sito ufficiale della Fina. Voleva la sua ultima Olimpiade, trovò il bronzo nei 100 stile libero, la medaglia olimpica sfuggitagli quattro anni prima a Pechino “Nonostante fosse il campione mondiale regnante”. Tutto vero, ma forse era opportuno precisare che il King of Canadian Swimming divise quell’oro in acquatica diarchia col Re Magno d’Italia. Quelle due volontà indomite, Magnini e Hayden, si affrontarono una sera di marzo di nove anni fa nella finale mondiale dei 100 stile a Melbourne. Senza che l’uno prevalesse sull’altro, ma uscendone entrambi trionfatori.
Lì per lì Magnini forse ci restò un po’ male per quella vittoria ex aequo. E’ la sua natura, è l’animo dello sportivo, l’adrenalina che t’invade corpo e mente quando puoi dire “Sono l'indiscusso uomo più veloce al mondo”. Ma solo per un attimo. Presto subentrò il rispetto per un’anima affine, un legame tra i due che scaturì da quell’abbraccio a bordo vasca e che dura ancora oggi. Soprattutto, la consapevolezza per Re Magno di aver vinto il suo secondo oro mondiale consecutivo nella gara regina. Qualcosa riuscito prima di lui solo a Matt Biondi e Alex Popov, e dopo a James Magnussen. “Battevi anche un certo Michael Phelps in quel periodo – gli ha detto recentemente Christian Zicche in una video intervista al Salotto Acquatico – li ho battuti tutti, in quei tre anni ho vinto ogni 100 stile” l’ha corretto l’azzurro.