La filosofia di Rio 2016 è stata Olimpiadi per tutti, a prescindere da differenze culturali, etniche, religiose e sessuali. Il simbolo di questo concetto, il team olimpico dei rifugiati, è stato fatto proprio anche dall’International Paralympic Committee per le Paralimpiadi di Rio (7-18 settembre). Con l’annuncio del nuotatore siriano Ibrahim al Hussein – già tedoforo della torica olimpica(leggi qui) – nel team paralimpico dei rifugiati. Tuttavia, anche quest’anno le Paralimpiadi non saranno aperte a tutti, denuncia alla Abc il Presidente di Down Syndrome Swimming Australia, Simon Cox “La sindrome di down è la più comune disabilità cromosomale al mondo… e non rientra nella singola categoria invalidità intellettuale” la classe S14 nel nuoto paralimpico. L’associazione ha proposto la creazione di una sottoclasse ad hoc, una S14A, ma l’Ipc ha sempre rifiutato.
Per questo sono nati i Trisome Games, la cui prima edizione si è tenuta il mese scorso a Firenze. Ma non può compensare il fatto che gli atleti con sindrome di down siano tagliati fuori dal più importante evento sportivo al mondo. E anche Swimbiz.it, al termine della manifestazione, auspicò una Paralimpiade più aperta(leggi qui). Ad ogni modo il vero problema, sottolinea l’allenatrice Anna Barnes, è economico: non essendo atleti paralimpici, non ricevono fondi statali né sponsorship, non possono organizzare collegiali né utilizzare strutture federali. E i nuotatori australiani hanno potuto volare a Firenze solo grazie a una raccolta fondi in crowdfunding via web.