Dal padre ereditò il talento, ma nulla nella storia clinica di famiglia faceva pensare che Gary Hall jr potesse un giorno scoprirsi diabetico di tipo 1. Un problema con cui convivere è già complicato normalmente, figurarsi quando devi allenarti da top sprinter mondiale di nuoto “I medici mi dissero che poteva essere la fine della mia carriera” rivela al sito Mediaplanet lo statunitense. Col tempo imparò a gestirlo. Ma un po’ per privacy, un po’ per non sembrare in cerca di scuse, il velocista di Cincinnati non disse niente a nessuno. Neppure quando, alle Olimpiadi di Sidney 2000 “I miei livelli di glicemia erano pericolosamente alti prima della staffetta 4x100 stile” e parla di gara ‘persa’, nonostante l’argento conquistato. Dove arrivò l’oro, per gli Stati Uniti, fu invece nella 4x100 mista. E tuttavia “Non ho ricordi di me che ricevo la medaglia. Un team manager mi trovò semi cosciente. Il mio livello glicemico era 28”. Vinse anche l'oro individuale nei 50 stile, e ci riuscì nuovamente quattro anni dopo.
Racconti che ricordano da vicino un altro mito americano, l’asso dei tuffi Greg Louganis. Arrivò ai Giochi di Seul ’88 da sieropositivo, anche in quel caso senza rivelare nulla. In gara, urtò il trampolino con la testa e con toccante lucidità se la coprì con la mano: temeva che potessero entrare in contatto col suo sangue. Vinse quelle Olimpiadi e avrebbe, in seguito, vinto anche la malattia. Due storie americane, due storie di campioni a lieto fine.