Brasile, gli effetti sul nuoto di dieci anni d’incentivi allo sport

Copyright foto: agif

In Sudamerica, in Spagna e non solo, i più noti club calcistici sono sezioni di più articolate polisportive: dal Boca Juniors al Real Madrid, dal Barcellona all’italiana Lazio. Il Brasile non fa eccezione e, per promuovere le sezioni sportive extra calcio, nuoto compreso, fu approvata nel 2006 la Legge d’incentivo allo sport. In Italia, la materia è un terreno delicato da calcare; ricordando le ansie per lo sport dilettantistico che sollevò la bozza del Decreto Irpef 2014(leggi qui). La legge brasiliana, spiega Globoesporte, concede a un’azienda d’investire fino all’1% del dovuto nell’imposta sul reddito in un ente sportivo e, nel caso di un cittadino, fino al 6%. Il Flamengo (foto) è il club che meglio ha lavorato per far approvare dal Ministero dello sport i propri progetti e, attraverso la legge, trovare sponsor e fondi: l’ex club di Thiago Pereira e Cesar Cielo è passato da 7.000R$ (circa 2000€) nel 2013 a 1.2 milioni R$ (oltre 340.000€) nei primi due mesi del 2015 per nuoto, pallanuoto e synchro. E il nuoto rossonero sarà in autosufficienza economica almeno fino a febbraio 2016. “Il problema è che approvare i progetti sportivi al Ministero è solo il primo passo” sottolinea Globoesporte, perché poi bisogna materialmente reperire le risorse economiche: sempre nel caso del Flamengo, è stato realizzato il 26% dei progetti sugli sport acquatici. In vista di Rio 2016, il Brasile acquatico ha vissuto anni di euforia olimpica: fondi statali a pioggia che hanno persino spinto i club a ingaggiare Hosszu, Ottesen Gray, Heemskerk per nuotare sotto i propri colori ai nazionali. Ma a Swimbiz, sia il tecnico di pallanuoto Ricardo Azevedo(leggi qui) sia il mistista nazionale Henrique Rodrigues(leggi qui) hanno espresso perplessità sulle politiche di sviluppo dei rispettivi sport nel Paese e preoccupazione per il futuro post Rio.
 
moscarella@swimbiz.it

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