Il sorriso che si interrompe oltre la corsia, il cappellino calato per nascondersi al posto della cuffia che dà luce al volto e il buio di una tragedia personale e familiare che prende il posto, all’improvviso, di tutto quello che lo sport dà l’illusione nel suo momento migliore di tenere fuori dalla porta. La realtà fuori dai riflettori, la gloria e la fama, la celebrità e la storia olimpica e mondiale non hanno certo aiutato Grant Hackett, leggenda australiana della storia di tutti i tempi del nuoto, a tenere in un angolo e fuori da quei riflettori il momento forse più brutto della sua esistenza di uomo e di atleta. Superata, appunto, la corsia. Oltre la cronaca e il disagio che ogni sportivo prova nell’immaginare la tragedia umana e personale dell’Hackett che non si ritrova più nei suoi panni e che cercava in ultimo forse una soluzione nella vasca, l’allenamento come terapia ritornando per ritrovarsi.
Lo ha cercato, lo ha inseguito , lui che in vasca era inseguito dagli altri, non lo ha trovato, e lui grandissimo numero uno oggi chiede aiuto con la violenza del momento. Hackett è l’ultimo di una lista fatta di famosi e meno famosi, ma legati dal male oscuro. Quella linea nera, oltre la linea nera come la Federazione australiana chiama il programma di aiuto per chi oltre e alla fine della corsia non trova la serenità di uomo, e donna, oltre il blocco di partenza. Perché la gara più dura inizia proprio dove inizia l’ultimo livello. Rimettersi in gioco, quasi che un allenatore avesse anche il compito ultimo di accompagnare alla vita reale il suo grandissimo atleta. Rimettersi in gioco e ritrovare la vita, la grande medaglia che auguriamo a Hackett.