Te lo dò io il Brasile negli anni ottanta fu un cavallo di battaglia dell’allora comico Beppe Grillo, varietà televisivo cult del giovedì sera nella rete ammiraglia della Rai. Se non fosse per l’ispirazione collegata sarebbe tutto un samba carioca, carnevale incluso, ma dietro l’angolo l’Olimpiade di Rio duemila sedici porta in dote tutto l’aquatic contest che ogni gioco olimpico trasforma nell’anteprima più seguita. Sfavillante multicolor nel water cube a Pechino, intenso nel gioco acquatico londinese, il nuoto apre i giochi e la piscina è il primo vero spazio di analisi visiva dopo la cerimonia di apertura. Come sarà la swimming arena carioca? Sarà al chiuso, già quasi pronta (98% annuncia la Prefetura), quella dei siluri della piscina e le palombelle dei pallanuotisti, l’Estadio Aquatico Olimpico, con il tocco artistico e visivo di una straordinaria interprete come Adriana Varejao. “Calecanto provoca Tsunami” ripreso dai murales della favelas è il tocco, il segno distintivo d’artista l’incisione a un‘opera che rimarrà come lascito alla città, la piscina pubblica che si ri-trasforma in spazio comune per quella cultura acquatica al limite del museale che in Brasile ha il seguito e lo spazio di uno sport nazional-popolare.
Fotogallery a cura di André Motta
E se Zika la zanzara turba i sogni olimpici, l’agosto brasilero propone l’altra faccia della medaglia, quella della piscina (sempre serale, oibò) dedicata a tuffi e sincronizzato. Quella Maria Lenk sì veramente aperta a ogni spiffero dell’inverno supermite carioca, anche se poi a quella latitudine rischi di trovarti a venti gradi (o meno) serali come teme la nostra Tania Cagnotto. A cui converrà portarsi un bel plaid dalle sue montagne bolzanine. Perché te lo do io il Brasile, più che a una samba acquatica rischia di trasformarsi in una previsione meteo. Freddolosi astenersi.