In America, i tuffi sono uno sport come tanti, come il football: preferiscono pensare ai propri atleti come potenti, piuttosto che aggraziati “Da osservatore noto, invece, che in Italia siete sensibili al corpo come forma d’arte – oltre a – un approccio più rilassato alle gare: non è raro vedere ragazze in bikini che guardano tranquille le competizioni, o tuffatori sul podio in costume, quando in altri Paesi insisterebbero per far indossare loro la divisa. Questo crea un ambiente più accogliente per tutti”. Chi propone il confronto non è un tuffatore. Si chiama Philip Peter, di origini asiatiche, pastore di una chiesa nell’est degli Stati Uniti che, arrivato ai my late thirties (trentina abbondante) d’età, si è imbarcato in un lungo e laborioso progetto: un film animato su una tuffatrice. “Un nuotatore passa la maggior parte del tempo a pelo d’acqua. Ma trovo evocativa l’immagine di una tuffatrice che emerge dall’acqua dopo il tuffo”. Per creare interesse preventivo nel pubblico “Twitto (account @ame_office) notizie di tuffatrici” ma è ancora presto: anche con i mezzi di oggi, ci vuole tempo creare un buon progetto animato “Le immagini sono scannerizzate e colorate in digitale. Ma disegno ogni fotogramma a mano, lavorando da solo. Esistono metodi più veloci, ma meno accurati, e da artista non mi attirano”. E per coprire i costi, è lo sport a indicare la via “Se qualche marchio di swimwear fosse interessato alla sponsorizzazione, potrei disegnarlo sul costume della tuffatrice. In fondo, non è così anche nella realtà?”. E come avverrà la distribuzione? “Un buon progetto animato può richiedere anni e può succedere molto: Dvd e web anni fa non esistevano. Chissà quali forme di distribuzione potrebbero nascere nel frattempo?”.
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