“A volte, in allenamento, le dicevo: non è così che si diventa numeri uno. Alice mi rispondeva: non capisco, cosa fanno di più o di diverso?”. Allora il suo allenatore, Max Di Mito, decise di farlo vedere ad Alice Mizzau con i suoi occhi “Lo dissi anche a Federica Pellegrini dopo Atene 2004: se lavori bene, nei prossimi otto anni ti costruisci anche il tuo futuro post agonistico – racconta a Swimbiz – a patto di viaggiare, perché solo così si cresce: l’atleta dev’essere cosmopolita e allenarsi con i più forti, non con i ragazzini della squadra e chi va più lento”. E come anticipato da la Gazzetta dello Sport, ieri Alice è partita per la Spagna, dove l’attendono più oltre due mesi col gruppo di Mireia Belmonte e del tecnico Fred Vergnoux “Ho scelto lui, perché sa unire allenamenti estensivi e alto livello. In Italia non vedevo una realtà con intensità e quantità di lavoro tali da farle fare un salto di qualità – tranne una - ci sarebbe il gruppo di Morini a Ostia, ma lì Alice sarebbe comunque stata tra atleti e allenatori che conosce bene. In Spagna sarà un’ospite, pertanto ancor più spronata a ben figurare. E imparerà a gestire lo stress in gara”. E l’azzurra ha abbracciato la proposta del suo mentore, così come il Direttore Tecnico Cesare Butini “Alice sta vivendo un momento particolare sotto vari aspetti, perciò abbiamo concordato con Max di farle cambiare per un po’ la routine. Con Vergnoux abbiamo concordato di farla partecipare a una gara in Lussemburgo a fine gennaio e poi a Marsiglia, dove sarà presente anche la Nazionale”. Sarà il dt stesso ad andare in Spagna per un aggiornamento sui progressi, visti i problemi all’occhio di Di Mito, ma il coach assicura “Lavorerei anche con un occhio solo. E smetterei di allenare Alice solo se la valutassi una giusta soluzione per farla arrivare ad alto livello a Rio 2016”. E Di Mito si sofferma su questo punto “In Italia troppo spesso vige l’equazione ‘ho un bravo atleta=sono un bravo coach’. Ma per un allenatore non dev’essere un disonore vedere partire un suo atleta. E' l’atleta il protagonista; il tecnico non deve cercare il palcoscenico, ma essere un mezzo per portare l’atleta ai massimi livelli”. Butini commenta in merito “Per la mia esperienza, non vedo questa tendenza. Forse tra i nsotri atleti c’è meno propensione ad aprirsi o forse entrambi gli aspetti convivono. Quel che so per certo è che i tecnici italiani sono ottimi allenatori e riescono a esprimere professionalità in condizioni più critiche rispetto a molti colleghi stranieri: dagli impianti al collegamento con le scuole”.
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