E' quasi paradossale che il suo ritorno all'agonismo sia stato allo scorso Settecolli. Non che Roma sia così significativa nella carriera di Florent Manaudou, casomai di un Alain Bernard o un Amaury Leveaux (che tenta il ritorno in extremis per Tokyo 2020). Ma di lui al trofeo romano si ricordava soprattutto quello sprint a farfalla, edizione 2015, durante i 50 m.... rana. Un po' per esigenza di provarli, un po' in polemica col programma gare, nell'indignazione generale. E' sempre stato così, fama (o etichetta) da antipatico. Del resto, spesso così appare la categoria dei velocisti, raccontava una volta Jason Lezak a L'Equipe.
Antipatico o meno, per anni Manaudou è stato dominante sui 50 m stile libero. Aveva lasciato l'agonismo, dopo Rio 2016 e la medaglia più importante, il secondo oro olimpico, sfumata nella serafica scia di quel bonzo del nuoto che è Anthony Ervin. Si è dato alla pallamano, si è dedicato al suo ristorante, alla sua moto, tutto per non pensare alla vasca. Poi, l'offerta irrinunciabile dal magnate ucraino Konstantin Grigorishin che, più che con uno strombazzato circuito di gare, sta semmai marcando presenza nel nuoto con la squadra Energy Standard, tra all-stars internazionali e atleti ucraini in crescita. Manaudou ha ritrovato il suo vecchio mentore, il britannico James Gibson, e sembra che non abbia mai lasciato il nuoto.
21"73 al Settecolli del ritorno, addirittura 21"56 nel week end appena passato, in Lussemburgo. E un 48"67 in quello che è sempre stato il suo cruccio, i 100 m stile libero, efficaci in staffetta ma mai in singolo come avrebbe voluto. Del resto, richiedono una leggerezza che la sua potenza strabordante, da sola, non è mai bastata a compensare. Ma è soprattutto sullo sprint che tenterà un ultimo colpaccio alle Olimpiadi di Tokyo, come il già citato Leveaux e come un altro grande rientrante, il canadese Brent Hayden, previa qualificazione. Tutto è possibile nei 50 stile, recita il bonzo.