Nel 2009, la gemma “Welcome” di Philippe Lioret riceveva gli applausi e il premio della giuria ecumenica al Festival di Berlino. La pellicola tratta l’immaginaria storia di un ex nuotatore disilluso divenuto istruttore, Simòn, e del giovane curdo Bilal che vuole imparare a tutti i costi a nuotare per un solo scopo. Attraversare la Manica e raggiungere la donna amata. Oltre la storia del profondo legame instaurato tra i due, la vicenda tratta del topos universale del mare che divide e unisce. Ma al centro di tutto sta il difficile tema dell’immigrazione. Calais non è uno sfondo casuale alla vicenda, da lì ogni giorno partono centinaia di persone alla ricerca di una nuova vita in Gran Bretagna. Il sistema legale francese punisce il favoreggiamento dei clandestini e, nel film, le lezioni di nuoto di Simòn lo metteranno nei guai con la polizia. In un articolo odierno, La Stampa riprende i dati del Syran Observer sul boom d’iscrizioni nelle piscine della Giordania “Dove i club sportivi hanno registrato un’impennata nelle iscrizioni ai corsi di nuoto da parte dei siriani rifugiati nel paese (ce ne sono almeno 700 mila) – e gli allievi, interpellati - hanno risposto di voler immigrare via mare e di volersi preparare al peggio”. Nel 2014 organizzazioni come Onu, Unesco, Oms, insieme alla Fédération Internationale de Natation, ribadirono l’importanza sociale del nuoto, ricordando che l’annegamento è ancora la quarta causa più frequente di morte al mondo. In particolare in quei Paesi dov’è ancora poco diffuso nonostante la presenza di molti corsi d’acqua (India in primis) e, appunto, tra gli immigrati e profughi che attraversano laghi, mari, fiumi fuggendo dalla disperazione e cercando la speranza. Negli stessi Stati Uniti, i discendenti di Martin Luther King promuovono la pratica natatoria tra latini, afro americani e altre minoranze(leggi qui). Il 60% dei quali, nel 2013, dichiarava di non essere in grado di nuotare.