C’era anche un po’ di nuoto nella sua vita e nelle sue opere, a metà tra attività fisica ed esercizio di concentrazione. Un’abitudine che, scriveva due anni fa Repubblica, lo accomunava al grande artista Joan Mirò e al neurologo Oliver Sacks. Ieri sera l’Italia ha perso Umberto Eco, uno dei più straordinari intellettuali della sua storia moderna. Professore universitario, scrittore, semiologo, studioso di media e filosofo. Ma ancor più della poliedricità, il suo tratto distintivo fu la chiarezza, la semplicità con cui trasmetteva il sapere, anche ai più giovani. Riuscendo a rendere ‘popolari’ i secoli bui del Medioevo, col romanzo Il nome della rosa. Di Carlo Magno, ricordava la “Superlativa abilità sportiva nel nuoto - celebrata dal biografo Eginardo e la ricollegava al – paesaggio e clima che condizionano la pratica ludica: divinità ed eroi della mitologia scandinava sono spinti a eccellere nel nuoto, in regate o gare a cavallo, pattinaggio sul ghiaccio e velocità con gli sci”. Del resto, quella natatoria è sempre stata una pratica in voga anche tra gli uomini di potere. Esibizione di forza, pensando a Vladimir Putin. Sport universitario prima e per ragioni di salute poi, nel caso di John Kennedy. Il nuoto ha persino un ruolo in uno dei romanzi di Umberto Eco, L’isola del giorno prima. Il protagonista, Roberto de la Grive, vuole imparare a nuotare per abbandonare la nave su cui si è ritrovato a seguito di un naufragio. E sfuggire ai ricordi, alle riflessioni e alle ansie che lo assalgono. E l’autore, in acqua, trovava serenità e ispirazione “Quando nuoto, mi vengono le idee migliori. Soprattutto in mare”.
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